
Giulia Tombolato è una giovane artista nata a Castelfranco Veneto nel 1999.
Si è formata presso il Liceo “Michele Fanoli” di Cittadella dove, oltre ad acquisire le tecniche di base in campo tecnico e artistico, ha maturato la sua passione per l’esplorazione e l’innovazione visiva.
La sua passione per l’arte e il colore l’ha portata a conseguire la laurea triennale presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, una delle più prestigiose istituzioni artistiche italiane, dove attualmente sta proseguendo i suoi studi con un master in pittura.
Ha perfezionato la sua formazione artistica presso l’Hochschule fur Bildende Kunste di Dresda, estendendo i suoi orizzonti creativi oltre il contesto italiano.
Ha partecipato a numerose mostre collettive, tra cui “Apricity” presso la Galleria Bermel Von Luxburg a Berlino e “Astraendo in Libertà” presso la Galleria Art Time di Udine.
A soli 25 anni Giulia Tombolato mostra di avere non solo solidissime basi culturali, ma anche una visione artistica in continua evoluzione, ma caratterizzata da una “firma” personale inconfondibile.
L’ho incontrata in occasione dell’inaugurazione de “Lo spazio nascosto” a Novi Ligure, la sua prima mostra personale, e l’ho intervistata per conoscere meglio il suo lavoro, il suo percorso artistico, la sua poetica del colore e provare a entrare nel suo “spazio nascosto” assieme ai lettori di 100Mag.
“Il lavoro di Giulia Tombolato apre nuove possibilità percettive, riportandoci a un mondo dell’infanzia, di gioco, finzione, illusione ed esperimento. Il colore-elemento centrale della sua ricerca-è qui materia viva, vibrante, che assume in questo contesto una nuova identità, non più simbolica e autorappresentativa, ma completamente autonoma e autoreferenziale (…..) come nella composizione di un puzzle, infatti, alternando sequenze di pieni e vuoti- quello che in una composizione musicale si fa con pause e suoni- Tombolato riesce a rendere visibile ciò che già esisteva di per sé nella materia (il colore e il supporto). Il colore non è quindi solo uno strumento, ma l’assoluto soggetto del suo lavoro e, come tale, si espande nello spazio e lo contamina, sfocando il confine tra arte e vita, e svelando il punto di contatto che esiste tra le due” ha scritto su di lei la curatrice della mostra Anna Raffaghello.


Opere dell’artista Giulia Tombolato
Puoi raccontarci qualcosa del percorso che ti ha portato ad avvicinarti all’arte e alla pittura?
Posso ritenermi molto fortunata, perché ho respirato l’arte fin da bambina.
Mio nonno faceva il pittore come hobby, e insieme a lui ho iniziato a dipingere a cinque anni. Lui non ha mai guardato all’arte come professione, non è mai stato interessato alla vendita o alla promozione delle sue opere, ma guardava sempre il lato bello delle cose, cercava la bellezza, una certa estetica.
Questo senso estetico, questa ricerca del bello ha sempre fatto parte integrante anche di me.
Sono convinta che un po’ tutti gli italiani siano stimolati a cercare la bellezza, considerata la cultura artistica nella quale siamo immersi.
In realtà non ho scelto subito il percorso artistico: ho iniziato con il liceo scientifico, ma mi sono accorta di non essere portata per la matematica e la fisica.
Sono passata al liceo artistico, dove ho potuto approfondire la storia dell’arte e mettere in pratica i saperi acquisiti tramite laboratori.
Al momento di scegliere l’Università, puntavo a qualcosa che permettesse di sviluppare le mie idee in ambito artistico e di progettare: la scelta era tra il percorso del design e quello delle Belle Arti.
Ho scelto l’Accademia delle Belle Arti di Venezia, una delle più importanti in Italia, e dopo il percorso triennale ora sto completando gli studi del biennio magistrale, la laurea è prevista a luglio.
Dopo penso di perfezionare i miei studi con un dottorato, forse in Germania, perché ho già trascorso un anno a Dresda durante il percorso accademico.
“Lo spazio nascosto” è il titolo della tua ultima mostra personale presso lo Spazio Azimut di Novi Ligure. Ci potresti spiegare qual è il significato del titolo e che cosa hai voluto esprimere con questo allestimento e queste opere?
È stata una cosa nata in modo molto spontaneo, conoscevo Anna Raffaghello, curatrice della mia mostra, che è della mia stessa generazione, ed è di Novi Ligure.
L’idea era quella di uscire dall’ambito artistico delle gallerie e di portare a Novi qualcosa di diverso dalle mostre che lei aveva sino ad ora visto in città, di ambito molto “provinciale”.
L’azienda Azimut ci ha offerto questo spazio e siamo riuscite a creare una proposta nuova per la città, in un ambiente immersivo.
Il titolo nasce dalla mia opera “The Hidden space” in inglese, abbiamo pensato che per un pubblico di provincia sarebbe stato meglio tradurlo in italiano.
“Lo spazio nascosto” è il significato che sta dietro a tutta la mia ricerca artistica, che ruota attorno alla relazione tra lo spazio bi-dimensionale e i colori.
Entrando nel mio “spazio nascosto” si entra dentro la mente della creatrice delle opere, dentro un ambiente artistico e attraverso questa esperienza dentro la propria intimità e interiorità.
Abbiamo inserito nell’allestimento alcuni materiali, come il nylon, per riprodurre lo studio e il mio metodo di lavoro.
L’obbiettivo era quello di creare un ambiente “full immersion” che facesse sentire i visitatori della mostra nel mio mondo interiore e artistico, il mio “spazio nascosto”.

La tua opera attuale si può iscrivere nell’ambito dell’astrazione, ma certamente con una visione e uno stile molto personale. Ci sono autori o autrici e movimenti artistici del passato o contemporanei che hanno influenzato la tua arte di oggi e la tua poetica del colore?
Si, ma possiamo dire che all’astrazione sono arrivata in maniera graduale.
I miei studi danno una base molto solida in tutte le tecniche e gli stili artistici, poi al momento di scegliere il percorso per la biennale richiedono una scelta specifica sul percorso nel quale specializzarsi.
A me i colori sono sempre piaciuti, è qualcosa che mi ha sempre affascinato, mi basta entrare in una cartoleria e vedere esposte le matite colorate!
Per me è una sorta di “dipendenza” quella dai colori!
E poi sono sempre stata affascinata anche dall’ambiente. Io sono di un paesino in provincia di Padova, abituata a vedere grandi spazi attorno a me.
Potrei dire che uno dei movimenti artistici che mi ha maggiormente influenzato è la Land Art, con la sua idea di sfruttare lo spazio come opera d’arte.
Tra i movimenti del passato recente, direi gli astrattisti e gli espressionisti, e tra gli autori più recenti, artisti tedeschi come Gerhard Richter, Katharina Grosse, e poi Sterling Ruby e Rosemary Trockel.
E poi, la Pop Art di seconda generazione, quella dopo Andy Warhol, soprattutto Alex Da Corte con la sua poetica di rappresentare la parte “infantile” del ricordo, far emergere tramite l’arte eventi e sensazioni dell’infanzia.
Nella mostra e con la mia arte io vorrei ricreare un mondo dell’infanzia, e uno spazio sociale nel quale le persone interagiscono. Con la mia arte, mi piacerebbe far nascere delle nuove interazioni sociali.
Quali sono le tecniche artistiche che hai utilizzato sino ad ora per la realizzazione delle tue opere?
Il mio obbiettivo è creare una situazione nella quale interagiscano lo spazio e i colori. Dare una nuova vita ai colori, dai quali siamo costantemente circondati, e che decodifichiamo attraverso la nostra percezione, che non è assoluta, è diversa ad esempio da quella di alcuni animali.
La nostra visione non è così veritiera, questo mi affascina ed è uno dei messaggi che vorrei trasmettere.
Per le tecniche artistiche, cerco di mescolare la pittura più tradizionale con il pennello con i metodi che si sono affermati negli anni Sessanta con la pop art, come lo stencil e l’aerografo.
A Venezia ho iniziato anche ad applicare la tecnica del frottage.
Nella mostra “Lo spazio nascosto” ci sono molte opere supportate su oggetti di uso comune, come i tappeti, dipinti come se fossero tele. Un approccio che ricorda la filosofia del ready made, ma che nello stesso tempo se ne differenzia, perché non ti limiti a decontestualizzare l’oggetto, ma gli dai nuova vita con il tuo intervento artistico. In questo tuo approccio c’è solo la volontà di combinare lo spazio bi-dimensionale e il colore, o c’è una “presa di distanza” dalla filosofia del ready made e dell’arte concettuale?
La mia arte può essere interpretata in entrambi i modi, sia come combinazione tra lo spazio bi-dimensionale e il colore, sia come “superamento” della filosofia del ready made e dell’arte concettuale, anche se non ne nego di certo l’importanza storica.
Io sono giovane, ma credo di comprendere abbastanza l’arte contemporanea e sono convinta che non basti decontestualizzare l’oggetto, non basti il solo concetto per creare arte.
L’atto artistico non si può ridurre al solo concetto, io ho bisogno di vedere una rielaborazione artistica, la mia interpretazione dell’oggetto artistico.
Oggi riproporre il ready made e un’interpretazione solo concettuale dell’arte può forse funzionare a livello di marketing e nell’immediatezza, ma nel lungo periodo secondo me non ha respiro.
Io sono sempre stata affascinata anche dall’arte del Medio Oriente, forse perché Venezia è una città che risente molto dell’influenza orientale anche a livello artistico, e mi sono avvicinata a quel mondo, caratterizzato da tantissimi colori.
L’arte islamica, anche per ragioni religiose, è da sempre molto più astratta della nostra, e per questo il colore ha un’importanza fondamentale.
I tappeti sono uno degli oggetti di uso comune caratteristici del Medio Oriente: io ho voluto dare vita nuova a tappeti che nessuno usava più, affascinata dalla loro texture.
La texture è uno degli aspetti centrali nei miei supporti: ad esempio, è interessante quella dei divani e di alcune vecchie coperte.


Opere di Giulia Tombolato
Hai dei nuovi progetti espositivi e non per i prossimi mesi?
È ancora un evento in preparazione, ma è prevista nei prossimi mesi un’esposizione con i miei colleghi di Dresda in Germania.
Poi c’è un progetto collettivo, sempre con i miei colleghi dell’Accademia, in provincia di Vicenza.
Vogliamo creare una mostra autogestita in autonomia, per nostra volontà non vogliamo essere rappresentati da nessuna galleria o associazione.
Con l’Accademia di Venezia stiamo portando avanti uno scambio culturale costante con quella di Dresda.
Io sono convinta che chi vuole fare questo lavoro non debba mai chiudersi nel proprio spazio, debba confrontarsi sempre con altre persone che operano in ambito artistico.
Fino alla fine di maggio i miei progetti sono questi, inoltre partecipo anche a concorsi o scholarship che potrebbero dare luogo a nuovi eventi espositivi
A luglio dovrei laurearmi e poi penso di candidarmi per una fellowship, una borsa di studio che mi permetta di vivere e lavorare alcuni anni all’estero: dopo la laurea a Venezia, vorrei davvero concentrami sulla parte più internazionale, perché credo sia fondamentale per chi vuole lavorare nell’arte oggi.
Andrea Macciò
Profilo Instagram dell’artista
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