Giuditta Pellegrini con “Selvatico Ancestrale” racconta la connessione tra corpi, natura e territorio
“Selvatico Ancestrale” è un progetto fotografico di Giuditta Pellegrini, frutto di dieci anni di lavoro, caratterizzato dalla volontà di creare attraverso il mezzo della fotografia un rapporto diretto e intimo con la natura e la foresta in un mondo mediato da informazioni che passano attraverso uno schermo, nel quale a molte persone i temi ambientali appaiono astratti e slegati dalla realtà della loro vita quotidiana.
L’autrice, giornalista, fotografa e videomaker specializzata in temi sociali, aveva esposto nel 2022 presso la Casa delle Donne di Terni le intense immagini del progetto “Pandemica” ritratti di donne realizzati nel periodo delle restrizioni sanitarie.
Con la mostra Selvatico Ancestrale Giuditta Pellegrini sperimenta la tecnica del “ritratto” degli alberi e delle foreste in quanto esseri viventi e non in quanto paesaggi.
La mostra è stata esposta a Bologna a partire dal 24 Novembre 2023 in occasione del Festival “La violenza illustrata” fino a febbraio 2024 con la collaborazione della Biblioteca Luis Borges di Bologna ed il contributo di Ente Gestione Parchi e Biodiversità Emilia Orientale e Legambiente.
Dal 9 marzo al 15 aprile la mostra Selvatico Ancestrale è stata esposta presso La Casa delle Donne di Terni, città di origine dell’artista, nell’ambito del ciclo di eventi (R)esistenze Femministe.
Un viaggio dalle mangrovie indiane delle Isole Andamane e Nicobare, scampate allo tsunami del 2004, alla selva vergine dei paradisi indigeni messicani, al pino loricato del monte Pollino in Basilicata; dalla laurisilva canaria, relitto millenario della vegetazione che ricopriva il Mediterraneo, con il quale le popolazioni indigene matrilineari vivevano in simbiosi prima della riduzione della natura seguita all’epoca coloniale, alle maestose cattedrali verdi del Nord, come la foresta Nera in Germania e quella di Biogradska Gora in Montenegro.
Le foreste fotografate da Giuditta Pellegrini ci parlano, parlano della loro silenziosa resistenza ai cambiamenti climatici e dell’ambiente.
Negli ultimi anni la sensibilità del mondo della fotografia per i temi legati all’ambiente e alla rappresentazione dei possibili danni del cambiamento climatico si è accresciuta in maniera notevole: le immagini che ne scaturiscono sono di solito paesaggi di grande impatto ripresi dall’alto o ritratti di popolazioni indigene ancora connesse con i cicli della natura e del pianeta, ma quasi nessun artista ci ha portato come lei “nel ventre umido della foresta che resiste”.
L’originalità della mostra di Giuditta Pellegrini è il “punto di vista” fotografico e l’approccio che indaga l’intima connessione tra la natura rappresentata nelle immagini e il femminile.
La abbiamo incontrata per approfondire la filosofia e la sensibilità che hanno ispirato questo suo progetto in continua evoluzione.

Foresta Nera in Germania (2019). Foto di Giuditta Pellegrini
“Selvatica Ancestrale”, ritratti dell’unicità della natura
Nelle immagini di “Selvatica Ancestrale” l’impressione è che tu abbia voluto “personificare” la natura e le foreste che hai “ritratto” restituendo l’unicità dei luoghi come se fossero persone. Un approccio molto originale e diverso da altri progetti fotografici legati ai temi ambientali. Da cosa nasce questa tua scelta?
Con “Selvatico Ancestrale” ho cercato di restituire l’individualità dei luoghi, per mettere in evidenza la connessione tra corpo umano e territorio.
Se anche il corpo umano ritratto è “natura”, questo significa che è necessario ritrovare la relazione profonda tra corpo e territorio, che abbiamo perso progressivamente nella lunga fase della storia dominata dal modello patriarcale.
Con le mie immagini ho voluto ricreare un’intimità e una vicinanza che oggi stiamo perdendo, per riconnettere l’umanità con la potenza della natura ancora incontaminata e per ricostruire e riconnettere tutte le forme di resistenza che riguardano la vita.
La natura ci ricorda che esistono ancora delle nicchie che covano sempre una gemma di resistenza: fotografare anche i luoghi dove l’intervento umano non è ancora arrivato in maniera invasiva permette di ricostruire la ferita di un modello sociale patriarcale ed estrattivista sui corpi non riconosciuti, sui corpi non normati, sul corpo femminile indigeno e selvatico, e raccontare la resistenza indomita e silenziosa della vegetazione ai cambiamenti climatici e ambientali.
Quella di “ritrarre la natura” è stata una scelta precisa o è scaturita da una selezione delle immagini realizzate nel corso dei tuoi lavori di reportage?
La mia non è stata in realtà una scelta “lucida”.
Mi sono accorta che avevo accumulato molto materiale di questo genere nel corso dei miei anni di lavoro in queste aree, realizzato anche in momenti più intimi e calmi della mia esperienza fotografica, e ho scelto di portare avanti questa ricerca sul potere del “selvatico” con un progetto articolato fatto non solo di immagini, ma anche di interviste e racconti orali.
La ricerca documenta la “resistenza” delle foreste, e le mutazioni che stanno avvenendo nel corpo naturale dei boschi, che costituisce il sostrato culturale delle popolazioni che li abitano.
Le immagini sono tutte riprese da vicino, o dal basso, per raccontare i germi di resistenza della natura attraverso uno sguardo simile a quello che potrebbe avere una creatura del bosco. Un punto di vista diverso dalle immagini che vediamo di solito, paesaggi ripresi dall’alto, magari suggestivi, ma che non restituiscono questo senso di intimità con la natura.

Urban Jungle, Cancun Mexico (2023). Foto Giuditta Pellegrini.
La deep ecology e l’approccio eco-femminista
Il progetto di “Selvatica Ancestrale” mi sembra ispirato dalla filosofia della deep ecology e dall’approccio eco-femminista. Secondo te il tema della salvaguardia ambientale e della riconnessione con la natura dovrebbe diventare uno dei punti fondamentali del movimento femminista?
Si, nel mio progetto di ricerca mi sono ispirata a tutto il pensiero del femminismo “non bianco” che negli ultimi anni ha portato alla luce temi e spunti molto importanti.
L’obbiettivo è quello di togliere potere simbolico e non all’antropocentrismo bianco e maschile, e al modello sociale basato sull’estrattivismo (l’estrattivismo è un approccio che considera la natura come un mero contenitore di risorse a disposizione dello sfruttamento umano, n.d.r.), ma anche di mettere in discussione un immaginario femminista incentrato attorno alla figura femminile “bianca”.
La mostra racconta la violenza con il quale il modello estrattivista si è abbattuto sulla biodiversità della natura selvaggia e degli abitanti che ospita, in particolare donne e popolazioni indigene, e nello stesso tempo lancia un messaggio di speranza tramite la resistenza della natura e della necessità di riconnetterci con il “selvatico”.
Il contributo del femminismo nero a mio avviso è stato fondamentale per portare avanti un discorso sulla decolonizzazione dell’immaginario, perché ci ha ricordato che tutto ciò che è stato considerato “normale” per secoli in realtà è frutto di un privilegio.
Nel transfemminismo il discorso dell’ambiente sta diventando sempre più centrale, sta crescendo la consapevolezza che la lotta femminista, quella sociale, quella per l’inclusione e la liberazione dei corpi non normati non possono essere scollegate dalla riconnessione con l’ambiente e la natura e con il superamento di un modello antropocentrico, patriarcale ed estrattivista.

Foresta Biogradska Gora (2022). Foto di Giuditta Pellegrini
“Selvatico Ancestrale”, tra teatro e crowfounding
“Selvatico Ancestrale” diventerà anche uno spettacolo teatrale, che sarà portato in scena dalla compagnia teatrale Opera Liquida Aps, fondata da Ivana Trettel nel 2009 e che si occupa di teatro in carcere, con la partecipazione dell’artista Giovanni Anceschi. Un progetto ancora in itinere, al quale io darò il mio contributo con le immagini. Un lavoro che è appena iniziato, ma che è già stato “annunciato” dalla compagnia Opera Aps.
Per Selvatico Ancestrale avevo ideato un progetto di crowfounding che si concluderà il 30 giugno. Il progetto, che ha comunque una copertura finanziaria, andrà però avanti lo stesso e dopo l’estate ho in programma un nuovo ciclo di eventi espositivi. Uno dei miei obbiettivi è la realizzazione di un libro fotografico.
✍🏻 Andrea Macciò
Informazioni sul progetto
Selvatico Ancestrale è un progetto ideato da Giuditta Pellegrini. Foto e raccolta di testimonianze Giuditta Pellegrini, direzione artistica Irene Loesch, photo editing Sara Casna, grafica Chiara Neviani Studio a Righe.
Link al progetto di crowfounding attivo fino al 30 giugno:
Giuditta Pellegrini è giornalista, fotografa e videomaker. Ha documentato tra le altre cose la ricostruzione femminile nell’immediato dopo guerra in Bosnia, i campi profughi palestinesi in Libano, la trasformazione verso la modernità nei villaggi rurali in Cina, le donne della resistenza in Italia, la battaglia per la sovranità alimentare delle donne dalit in India.
Collabora stabilmente come giornalista e fotografa con Il Manifesto, Terra Nuova, Junge Welte, ha pubblicato articoli e reportage su Carta, Jacobin Italia, Altreconomia.
Nel 2018 ha pubblicato il libro fotografico Sulle Tracce della Grande Madre, Viaggio nel grembo della storia (Le civette saggi, Venexia Editrice), un diario di viaggio fatto di foto, testi e illustrazioni che attraversa Turchia, Tunisia e Malta alla scoperta dei luoghi dedicati alla civiltà della Dea.
Irene Loesch, regista di teatro (con incursioni nel mondo della radio e della televisione), direttrice artistica di eventi è di estrazione mitteleuropea e si dedica con particolare passione al teatro civile e sociale e alla creazione di eventiculturali.Sudtirolese di nascita, sceglie l’Umbria come dimora dove si occupada 35 anni di Progetto Mandela e del Centro per i diritti Umani Nelson Mandela, fucina di produzione e sperimentazione teatrale, artistica e culturale all’insegna dell’impegno civile e sociale. Scrive e traduce testi teatrali, progetta e dirige eventi culturali, cura mostre e continua a credere ostinatamente in un teatro che racconta storie, storie che ci riguardano. È attivista della Casa delle Donne di Terni.
Sara Casna ha studiato fotografia presso la scuola Fondazione Studio Marangonie si è diplomata successivamente all’Istituto Italiano di Fotografia. Ha pubblicato con le rivisteStern, Internazionale e Corriere della Sera. Nel 2014 è autrice, insieme ad altri, del libro “Genuino Clandestino”, un progetto di documentazione sulle nuove resistenze contadine e nel 2016 è vincitrice del Perugia Social Photo Fest.
Attualmente lavora come photo editor per la rivista mensile di Legambiente e parallelamente si dedica a progetti di fotografia documentaria.
Chiara Neviani, graphic designer e art director, www.studioarighe.it

Foresta di mangrovie, Isole Andamane e Nicobare, Oceano Indiano (2010). Foto di Giuditta Pellegrini